I temi che possono essere
identificati all’interno di questo brano sono molteplici. In primo piano è
evidente l’esposizione del concetto ‘dell’apparenza che inganna’. La
presentazione di questo argomento è proposta in due tempi. Prima, introducendo
il personaggio (che è poi anche il protagonista) di Mazzarò indirettamente.
Questo accade attraverso una lunga ed ‘interminabile’ sequenza descrittiva;
proprio come la ‘roba’ del protagonista (i suoi possedimenti), che è infatti il
soggetto della descrizione con cui si apre la narrazione. In secondo luogo,
viene immesso al racconto il medesimo personaggio per mezzo di una descrizione
diretta , riguardo l’apparenza fisica, la personalità, le esperienze passate ed
i modi di fare relativi a Mazzarò. Il porre in contrasto le due
rappresentazioni del personaggio principale nell’ordine particolare in cui sono
riportate (prima l’esibizione indiretta e a seguire quella diretta) crea una
reazione inaspettata quando si viene a conoscenza con la persona ‘reale’ di
Mazzarò nella seconda descrizione. Questo succede a causa dell’effetto prodotto
dalla ripetizione insistente, nella prima parte del racconto, del nome di
Mazzarò che accompagna la vastità dello spazio presentato e del suo contenuto.
La vastità dello spazio descritto è posto in evidenza dal continuo cambiamento
del punto di vista del narratore. Essendo onnisciente e avente focalizzazione
zero il punto di vista del narratore si muove prima al viandante (quando la
narrazione avviene in terza persona) e conseguentemente passa al lettore (come
è facile identificare dall’utilizzo del indicizzazione ‘vi’, significando ‘a
voi). In questo modo il continuo cambiamento del punto di vista fa si che il
narratore appaia ovunque, facendo accrescere la grandezza dello spazio
trattato. Inoltre, l’infinità della ‘roba’ è sottolineata dall’uso
dell’enumerazione nell’elencare gli oggetti presenti in questo termine. Il
soffermarsi della narrazione continuamente sui particolari, la presentazione di
nuovi oggetti che va sempre rinnovandosi, l’uso di espressioni che allungano la
durata temporale: ‘una vigna che non
finiva più’, ‘e cammina e cammina’, ‘passavano il guado lentamente’ danno al
ritmo e alla scorrevolezza della narrazione un’incredibile ‘assopimento’, un
senso di calma esagerata. La lentezza pronunciata delinea maggiormente la
vastità indecifrabile della ‘roba’. ‘L’uliveto folto come un bosco’. L’uso di
similitudini per paragonare delle parti della ‘roba’ ad elementi più ‘espansi’
incrementa l’idea di enormità dei possedimenti di Mazzarò. La relazione che è
creata tra il nome del personaggio e l’infinità di ‘roba’ che viene descritta
fornisce un’immagine negativa del protagonista; una figura soprastante chiunque
altro con tanto di superbia a caratterizzarla. Quest’immagine viene però
smentita per mezzo della descrizione diretta del protagonista che appare invece
come un uomo a cui è stata ripagata la sua enorme fatica lavorativa con
l’acquisizione di tutta la sua ‘roba’ che lo soddisfa moltissimo. Inoltre
Mazzarò viene presentato come un uomo modesto, ed un personaggio rispettato da
coloro che gli sottostanno per via del suo compatimento verso di loro (essendo
stato anche lui un umile contadino). Numerosi sono quindi i temi che vengono
presentati attraverso la figura del protagonista ed il suo sviluppo:
‘l’ottenimento di buon risultati grazie alla fatica e all’umiltà’, ‘la modestia
che compra il rispetto e l’ammirazione al contrario della superbia’,
‘l’importanza di avere una dedizione individuale nella vita spinta
dall’ambizione’.
“ …e sì ch’era ricco come un
maiale; ma aveva la testa ch’era un brillante, quell’uomo. Infatti, colla testa
come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba, dove prima veniva da mattina
a sera a zappare…”
“La sua bocca mangiava meno di
tutte, e si contentava di due soldi di pane e un pezzo di formaggio, ingozzato
in fretta e furia all’impiedi”. La presentazione di Mazzarò come due persone
diverse lo fa apparire come un uomo allo stesso tempo ricco, ma umile, che
avendo vissuto le difficoltà e le fatiche dei contadini ora, pur essendo ricco
si accontenta del minimo che gli è indispensabile e questa sua umiltà e
modestia gli compra l’ammirazione ed il rispetto da parte dei suoi sottostanti.
Il tema finale con cui si
conclude il brano è quello della ‘dedizione per un interesse, guidato
dall’ambizione’. Nel caso di Mazzarò è evidente che l’interesse in questione è
‘la roba’ che lui possiede e che ha lavorato duro per arrivare ad ottenere.
L’ambizione di Mazzarò però, eccede e la sua ‘ingordigia’, la sua ‘fame’ per la
‘roba’, per averne sempre di più lo porta a trovarsi in uno stato di dipendenza
da questa sua dedizione. ‘Questa è un’ingiustizia di Dio, che dopo di essersi
logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne
vorreste ancora, dovete lasciarla!” Mazzarò infine impazzisce quasi, nel
realizzare per la prima volta (non avendo avuto tempo prima, data la completa
devozione del suo tempo all’aumentare la sua roba) che la ‘roba’ ormai non gli
è più di nessun uso. Il ricco siciliano ha dedicato tutta la sua vita ad
accumulare ‘roba’, giungendo a possedere numerosissimi terreni, che sono tutti
però possessi materiali temporanei, come la vita. Quando Mazzarò, si ritrova
privo di affetti, a causa della poca devozione nel coltivarne, al contrario di
quella impiegata nella sua roba, viene prevalso da un senso di egoismo spinto
dalla rabbia e dal senso di essere vittima d’ingiustizia. Questo improvvisa
‘esplosione interna’ in un personaggio che sembrava una figura ammirevole è
l’incarnazione del risultato di troppa ambizione che nella porta a prevalere
valori precari e superficiali che non danno mai la possibilità di raggiungere
un’affermata soddisfazione poiché spingono sempre a ‘volerne di più’. Anche
Mazzarò realizza che purtroppo l’invidia verso chi invece, pur non possedendo
niente ha ancora davanti la possibilità di non sbagliare l’importanza da
attribuire a certi valori nella vita, che è l’esatto errore che invece ha
commesso lui: “E se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi[…] gli lanciava il
suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: - Guardate chi ha i giorni
lunghi!costui che non ha niente!”
L’egoismo, è risultato della
mancanza di affetto ricevuto e di conseguenza dimostrato verso gli altri.
Mazzarò che “egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto
quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti,
non aveva altro che la sua roba”, dimostra di essere l’egoismo in persona data
la mancanza di affetti e la perdita di tutto ciò ch’era la sua ragione di vita
(la sua roba e l’aumentare di questa non rendendolo mai sazio).
‘Sicchè quando gli dissero che
era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come
un pazzo […] e strillava – Roba mia, vientene con me!.” E’ evidente la
rappresentazione di quest’ultimo tema nella reazione di Mazzarò che fa da
chiusura al brano; quest’uomo non sapendo nemmeno cosa s’intenda per ‘pensare
all’anima’ (avendo scelto di non avere esperienze affettuose) non accetta di
lasciare la sua roba ritenendo ingiusta l’impiego di tutta la sua fatica ed il
tempo perso per un ‘qualcosa’ d’indefinito che ora terminerà senza avergli mai
dato una soddisfazione concreta. In questo suo ‘raptus’ d’egoismo decide di
portare quello che può via con sé, quando morirà. “– Roba mia, vientene con
me!.”
Il termine ‘la roba’ è il titolo
del brano perché significando come termine generale: ‘un ammucchio di cose
qualsiasi’ da generalità ai possedimenti di Mazzarò che vengono narrati nel
brano, ma sofferma l’attenzione sulle conseguenze che la troppa ambizione per
una dedizione precaria in particolare possono portare su una persona e sulla
vita di questa privando di significato e di valori ‘validi’ quest’ultima. La
vaghezza e la genericità del termine ‘la roba’ fa si che i temi contenuti nel brano possano essere
interpretati da ciascun individuo singolarmente ed individualmente per
contenere la propria ambizione e la propria univoca dedizione per la propria
‘roba’ qualunque essa sia.
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